Si fa presto a dire…dipendenza!
Ospitiamo su questo blog un articolo della Psicologa Sonia Bertinat.
Ho conosciuto Sonia prima in rete e solo successivamente di persona. Lo dico per testimoniare ancora una volta la bontà di questo strumento che è il web!
Il suo articolo ci parla di dipendenze…ma non vi svelo ulteriori dettagli perché voglio che leggiate con attenzione l’articolo.
Buona lettura
Katia D’Orta
Quando si parla di giovani e tecnologie la tendenza dell’occhio adulto è sempre quella di vederci l’eccesso ovvero l’eccessivo assorbimento dal mezzo tecnologico (computer, smartphone, console) o dall’attività (gioco, social, chat).
Ma quello che noi adulti tendiamo a vedere oggi come eccessivo non è molto diverso da quello che probabilmente gli occhi adulti di 40 anni fa vedevano nell’approccio alla televisione.
Si tratta di mezzi che per gli adulti sono di arrivo, per i ragazzi di partenza. Un qualcosa, oserei dire, (pur usando il termine nella sua accezione lata) naturale.
Spesso al digitale vengono imputate le peggio cose fino al “rapimento”, il condizionamento dei ragazzi.
Ma sappiamo bene che, come ogni strumento, le conseguenze eventualmente problematiche non stanno nello strumento/attività in sé ma nell’uso che ne facciamo.
Questo punto lo specifico sempre nelle varie occasioni in cui mi trovo a parlare di dipendenze digitali (uno dei miei campi di interesse lavorativo) sia nelle consulenze private sia negli incontri di Educazione alla Salute (EaS) nelle scuole superiori organizzati dalla SC Sert Pinerolo e il servizio TAM TAM per adolescenti dell’Asl To 3 in cui lavoro.
Perché la demonizzazione dello strumento è un’azione facile e immediata che però deresponsabilizza quasi totalmente l’utilizzatore. Basta vedere o ricordare quali demonizzazioni venivano fatte dalla tv.
Per il digitale e internet il concetto si complica in modo esponenziale, perché, se con la televisione parliamo di uno strumento quasi per nulla interattivo, 1.0 potremmo dire, il web e il digitale oggi, nella modalità 2.0 (e ancor di più nel prossimo 3.0) non passivizza completamente l’utente che, anzi, viene chiamato in prima persona ad interagire.
Inoltre, le attività che è possibile intrattenere sul web sono molto disparate e per questo la Internet Addiction (termine coniato nel 1995 da Ivan Goldberg) non è ancora stata inserita nel DSM (Manuale diagnostico statistico delle malattie mentali) tra l’elenco delle patologie ma nella sezione dedicata ai temi da approfondire. Se, come sottolina la Kimberly Young, internet mi cattura per la ricerca di informazioni o per i social o per contenuti pornografici o per videogiochi, cambia molto. Simile sarà l’intensità, la difficoltà di staccarsi, la pervasività del pensiero dell’attività quando sono offline, la rinuncia o riduzione di altre attività. E questi sono gli elementi che fanno ipotizzare una dipendenza. Ma le motivazioni, le ricompense emotive, i rinforzi che la specifica attività risponderanno a bisogni o mancanze specifiche che rimandano alla personalità e alla storia dell’utilizzatore. E queste fanno decisamente la differenza.
Oltretutto, come dicevo, dobbiamo fare molta attenzione a giudicare con occhi di adulti, perché rischiamo di non avere un’idea chiara del fenomeno.
Nella mia pratica clinica vedo chiaramente una differenza tra gli adulti che presentano difficoltà di gestione del digitale e ragazzi segnalati per problemi simili.
Anche nei casi estremi di ritiro sociale totale, i cosiddetti Hikikomori, dove la tendenza è quella di additare lo strumento come causa, si è visto come lo strumento sia molto spesso un rifugio, forse l’ultimo contatto con il mondo esterno che si abbandona perché troppo complesso da affrontare. Troviamo all’origine casi di bullismo o cyber bullismo, problemi di autostima, difficoltà sociali o relazionali che trovano nell’isolamento uno spazio di respiro.
Negli interventi di EaS coi ragazzi, tendiamo da subito a specificare che non è nostra intenzione demonizzare il digitale ma capirne il significato e ruolo nella loro vita. Capire come la loro attività online si riflette sulla loro personalità e sulla loro vita. Come la loro declinazione online (avatar, profili) si accosti o meno al loro essere offline (sempre che questa distinzione abbia ancora senso per loro e forse no).
La fantasia è lo strumento che ci permette da sempre di superare noi stessi e le nostre difficoltà, ma da sempre, se da strumento per trovare nuove risorse e nuovi spazi di espressione di sé, diventa un rifugio, un alter ego in cui essere ciò che pensiamo di non poter essere nelle relazioni di tutti i giorni, questo potrebbe essere indice di una difficoltà. Difficoltà che, anche se non sempre, fortunatamente si sviluppa in una dipendenza, va indagata per non creare delle fratture identitarie.
Già, perché l’adolescenza è un momento delicato per la costruzione dell’identità che ci porteremo dietro per molti anni a venire.
E se la fantasia è ciò che permette al bambino di superare un pensiero concreto, in adolescenza può portare a creare dei sé virtuali che poi si separano troppo dalle possibilità concrete di realizzarli, nell’immediato. La velocità e facilità con cui si possono ottenere delle cose nel digitale non sempre corrisponde ai tempi del reale e quando parliamo di realizzazione di sé è ancor più difficoltoso.
“La possibilità di essere tutto ciò che vuoi”, slogan evidenziato dai ragazzi durante gli interventi, è una delle cose affascinanti dei videogiochi, ad esempio che viene “cavalcata” dai trailer pubblicitari.
Il compito della sensibilizzazione ai rischi psicologici del web mira proprio a far emergere dai ragazzi queste criticità: far riflettere sulle motivazioni, sugli effetti, sui tempi per criticizzare l’uso e far sì che, proprio perché spesso sentito come naturale, diventi un uso consapevole, non solo per quanto riguarda i rischi oggettivi ma anche per i rischi soggettivi legati allo sviluppo della personalità.
Diventare consapevoli delle ricompense che il digitale ci fornisce, spesso studiate ad arte, e riuscire a maneggiarle meglio.
Parlando, ad esempio, dei giochi “innocui” su Facebook, che spesso i ragazzi citano con una sfumatura di disprezzo in quanto poco usati da loro, cerchiamo di riflettere sui toni delle notifiche: “I tuoi abitanti sentono la tua mancanza”, “Le tue colture stanno marcendo”, “La tua città è stata distrutta perché non c’eri”. “Siete proprio delle brutte persone se fate queste cose”, affermo in modo ironico. In fondo, pur essendo giochi apparentemente innocui puntano fortemente sul nostro senso di colpa, soprattutto se l’investimento è stato grande (come tempo o come soldi). E perché se non riusciamo a gestire una città virtuale come pretendiamo di gestire le problematiche connesse con la nostra vita?
Ora è palese che quei messaggi mirano a riattirare le persone nei giochi e che nessuno, si spera, starà male per queste notifiche colpevolizzanti. Ma sono messaggi continui e ridondanti che su personalità fragili possono attecchire e catturare più del dovuto.
Proprio perché sono identità in costruzione, come le ossa craniche dei neonati.
Un ragazzo un giorno si è detto sconcertato nel (ri)vedere il trailer di un videogioco a cui giocava abitualmente e notando i rimandi sessualizzanti (le protagoniste procaci), le frasi incisive legate agli slogan.
L’estrema competenza digitale degli adolescenti, soprattutto paragonata ad una competenza decisamente inferiore, spesso, degli adulti di riferimento, può instillare un senso di onnipotenza, stimolato, come abbiamo visto, dai messaggi veicolati dal digitale, che è un sentire molto pericoloso in quanto non prende in considerazione i rischi.
Ecco, svelare ciò che apparentemente è velato è un modo per rendere più consapevole l’uso del digitale. Quello che sappiamo con certezza è che nelle dipendenze classiche per ottenere risultati si elimina l’oggetto o sostanza di abuso e poi si lavora sulle motivazioni. Per internet il discorso è un altro: non è possibile al giorno d’oggi eliminare il digitale. Si rende ancor più necessario fare una costante opera di sensibilizzazione sul suo utilizzo, sui rischi, sulle aree grigie in cui ci si può perdere.
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[…] lascio, se volete, alla lettura dell’articolo “Si fa presto a dire… dipendenza” di cui ho detto […]